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La Creta

Prima di guidare il lettore alla conoscenza della nuova Chiesa di San Giovanni Battista alla Creta, è opportuno dire qualcosa sul territorio.
Nel documento ufficiale, con cui il Card. Giovanni Battista Montini, Arcivescovo di Milano, dichiarava la nascita della Parrocchia di San Giovanni Battista alla Creta si legge: «Nella zona a sudovest di Milano detta Cascina Creta, il Piano Regolatore prevede un intenso sviluppo di costruzioni ad uso abitazione, in gran parte già realizzate». (Canc. N. 1357/58-pr. Gen.).

Il testo del documento sembra evidenziare che il nome «Creta» non derivi dalla cascina ma da una zona su cui sorse, non sappiamo quando, la cascina che ne prese il nome. Non si è lontani dal vero se si ipotizza che il nome Creta sia derivato alla zona dalla presenza di una terra adatta a costruire mattoni, una terra giallastra che si trova ancora oggi a una profondità di mezzo metro, detta in milanese «terra crea» e più brevemente «crea», in italiano: creta.

La zona Creta, come si può rilevare da una vecchia carta geografica del secolo scorso in cui è pure segnata la Cascina Creta, si estendeva più o meno sull’attuale zona occupata dalla Parrocchia. Si comprende allora come al nome della chiesa e della Parrocchia dedicata a San Giovanni Battista si aggiunse «alla Creta»; cioè, nella località della Creta. Anche per una ragione pratica: distinguere la nuova Parrocchia dalle altre due dedicate allo stesso Santo incluse nel territorio del Comune di Milano.
Quel nome «Creta» che probabilmente, con l’incalzare della città, sarebbe scomparso o sarebbe restato solo un ricordo per documenti di archivio, con la nascita della Chiesa di San Giovanni Battista e della Parrocchia e di una piazza omonima, è risorto ad una vera vita nuova e destinato a perpetuarsi nel tempo.
Anzi, per uno di quei fenomeni tipicamente popolari che tendono a ridurre i nomi e le diciture troppo lunghe e complesse, sia la Chiesa che il territorio della Parrocchia, come alcune sue strutture: il Teatro, la Compagnia Teatrale, il Centro Culturale, si chiamano semplicemente «La Creta». Un richiamo questo della «Creta» come terra che ha un suo fascino: come ad attingere alle origini saggezza di vita; la coscienza di essere terra e di dover tornare alla terra.

 

L’architettura

Progettare, costruire un edificio destinato al culto, è sempre stato, fin dall’antichità, una delle imprese più impegnative dell’uomo, quasi un sogno.

Dalla remota stele innalzata dove l’uomo ha pensato d’avere incontrato Dio, alle gigantesche «Ziggurat» nella pianura Mesopotamica si scopre un bisogno di segnare e fermare nella pietra o nel mattone, il momento dell’arcano.
I tempi, le culture, le esigenze hanno, un poco alla volta, guidato, condizionato le linee, i volumi delle architetture sacre. Il nostro tempo sembra aver piegato del tutto l’architettura sacra alla pura «funzionalità», sottraendola al fascino del «mistero». 

La Chiesa da «casa di Dio» diventava «La casa del Popolo di Dio». Ma è già «il dopo- Concilio Vaticano II». Quando negli anni cinquanta l’architetto Giovanni Muzio consegnava il suo progetto della futura Chiesa dedicata a San Giovanni Battista (gli scavi inizieranno nel 1956) ci si muoveva tra esigenze del passato e timide prospettive per il futuro. L’architetto Muzio ha colto le due componenti tese più all’avvenire che al passato. Siamo già all’immagine della tenda biblica del Convegno con linee ascensionali. Se la tenda aiuta a ritrovare il momento dell’incontro, dell’adorazione, dell’intimità, finisce, però, per comprimere al basso, alla terra il luogo da essa circoscritto. Le linee architettoniche di Muzio non si esauriscono nel creare spazi per l’uomo ma si aprono oltre il terrestre.
Già la vela che si muove ardita sulla facciata solleva in alto la massiccia base sottostante. Ma la vera linea, i volumi di tutto l’edificio si scoprono sui fianchi della costruzione, dove il scendere e il salire tagliano in vivo l’orizzonte. Le lunghe e strette finestre sui fianchi, mentre svolgono la funzione di dare luce all’interno, muovono nel contempo tutta la parete in questo scendere e salire, come i gradini della scala sognata da Giacobbe (Gn. 28, 11-13) dove schiere di Angeli salgono e scendono, legando in misterioso connubio terra e cielo, Dio all’uomo e l’uomo a Dio.

Architettura e alberi

Mi sono trovato più volte a guardare fotografie della nostra Chiesa appena terminata. La piazza antistante totalmente spoglia, tutto intorno il colore biancastro del cantiere appena chiuso e delle strade appena segnate in mezzo ai campi, dove prima nei fossati scorreva acqua irrigua. La Chiesa risalta in tutta la sua bellezza d’insieme, con le sue linee slanciate e i suoi volumi. Ma è sola. Sembra lì, in attesa che qualcuno le si avvicini, la sottragga alla sua solitudine.

Poi sono arrivati gli amici, gli alberi: populonie a grande ombrello sul davanti, platani che ormai la superano in altezza ai lati e sul retro, per alcuni anni pioppi diventati presto altissimi e sostituiti, perché malati, da tigli e querce. La Chiesa ora, in tutto quel verde, sembra si sia sposata. Mi ritrovo ora a guardarla ma nella sua realtà. Ad ogni stagione gli alberi la rivelano, la macchiano di verde tenero, la ricamano con i rami carichi di neve, la ombreggiano al sole d’estate e la nascondono ai distratti. La sua architettura sembra fatta per questo incontro variato ad ogni stagione. Il paramano, di cui è tutta rivestita di fuori e di dentro a proteggerla dall’erosione spietata dello smog, non ha il colore caldo del mattone, non porta la patina cangiante degli anni che passano, ma ha la forza di riapparire ad ogni stagione e riemergere ad ogni intemperia come fosse nato allora. Alla robustezza, alla resistenza della corrosione, il paramano unisce il senso del tempo fissato, stabilizzato. A muoverlo, a dargli respiro e vita e musicalità, sono proprio gli alberi, creature vive e splendide, vestite a dovizia da infinite varietà di verde. Tra loro si intesse un dialogo che diventa sinfonia di voci e di colori, proprio come voleva Dio che ha fatto dell’uomo il collaboratore alla sua creazione.