storia & arte

La dote

La parola «dote» invece di «arredo» è più adatta e significativa ad elencare tutte quelle cose che, pur non partecipando in modo diretto al contesto architettonico della chiesa, sono elementi necessari e indispensabili per l’esercizio del culto religioso.

La Sacrestia

Come indica la stessa parola, è il luogo accanto alla chiesa destinato a custodire gli arredi sacri e tutto ciò che serve al culto.
Moltissime sacrestie dei secoli scorsi sono, sia dal lato architettonico che dell’arredo, veri monumenti d’arte. Rispondevano ad una concezione della sacrestia alquanto diversa dalla nostra, Il «funzionale» è oggi l’aspetto principale; la nostra sacrestia risponde a questo criterio, pur senza trascurare il resto.
Gli armadi, destinati per l’ampiezza e per la linea a coprire interamente le due parti laterali, offrono spazio abbondante a custodire paramenti e oggetti sacri. Nell’insieme danno l’immediata impressione di linea sobria ed elegante.

Il crocifisso, appeso alla parete di fronte alla porta centrale, a cui si inchinano i sacerdoti prima di uscire sull’altare o appena rientrati, è una pregevole scultura in legno del Seicento. Il suo «ritrovamento» ha dell’incredibile e merita di esser conosciuto.
Fu trovato da fra’ Martino un giorno, mentre si demoliva la vecchia chiesina del Villaggio Svizzero, sotto la predella. Era in pezzi; come fosse finito là sotto e perché ridotto in quello stato, nessuno lo saprà mai. Ora, sulla Parete bianca della sacrestia ha trovato la sua degna collocazione.

Il Lavabo

La parola «lavabo» è latina e precisamente la prima persona singolare del futuro latino; è anche la prima parola di un versetto del Salmo 25 che il sacerdote recitava, prima della riforma liturgica, al momento di lavarsi le mani dopo l’offertorio. La si trova scritta sopra il lavandino dove il sacerdote, prima della Messa, si lava le mani.
Questo lavarsi frequentemente le mani richiama una pratica antichissima di purificazione per ogni uomo che dovesse accostarsi a Dio o con la preghiera o con qualche pratica religiosa.
E pratica usatissima ancora oggi presso le religioni orientali. La chiesa Cattolica l’ha mantenuta non certo come pratica magica, ma come richiamo a quella interiore disposizione che deve possedere colui che si accosta a Dio.
La parola «lavabo» lungo i secoli è passata a significare il bacile e la vasca che contiene l’acqua per la purificazione.

 

Nell’atrio della sacrestia vi è un solenne «lavabo» in marmo, destinato a questo scopo. È formato da due parti: la superiore con nel timpano una croce portante un lenzuolo ripiegato ed una scritta in latino; l’inferiore costituita da una semi-vasca che raccoglie l’acqua del rubinetto.
Tutto ha qui, come altrove, un suo significato. La croce, in alto, sulle cui braccia è posto un lenzuolo ripiegato e cadente, significa la grande purificazione ottenuta da Cristo con la sua passione e morte; noi la chiamiamo «la salvezza» di tutta l’umanità, alla quale si accede per mezzo del Battesimo che si compie per l’acqua e lo Spirito Santo.
Le parole in latino scolpite sotto questa immagine suonano così: «Da, Domine, virtutem manibus meis ad abstergendam omnem maculam, ut sine pollutione mentis et corporis valeat tibi servire, Amen!».
In una nostra traduzione:«Concedi, o Signore, capacità alle mie mani per togliere ogni macchia, affinché senza contaminazione di anima e di corpo, ti possa servire. Amen!».
Ora il sacerdote, preparato spiritualmente e corporalmente, può accedere all’altare.

La vasca battesimale e il candelabro

Si è già parlato del battistero sistemato nell’atrio della chiesa; ora è il momento di dire qualcosa sulla vasca battesimale e il candelabro che compaiono ogni volta che si amministra il Battesimo.
Quando, dopo il Concilio Vaticano Il, si sentì la necessità di accompagnare l’amministrazione del Battesimo con una adeguata Catechesi, la prima difficoltà che balzò agli occhi fu quella della ristrettezza del battistero. Dal battistero si passò alla chiesa. Era una soluzione di necessità a scapito di alcuni significati, ma con il vantaggio di una maggior partecipazione al Sacramento.
Bisognava però ridare al Sacramento il significato di alcuni simboli. Si chiese così all’architetto Giovanni Muzio di disegnare lui stesso la vasca e il candelabro.

L’opera fu realizzata dalla bottega artigianale dei Fratelli Nani di Bergamo, che già avevano cesellato la porticina del Tabernacolo dell’altare maggiore.
La vasca in rame è piantata solidamente su una base circolare che sale, attraverso un piccolo rigonfiamento dell’asta, dando l’immagine di un grande calice fiorito. Come da fonte di acqua pura l’uomo peccatore esce rinato e profumato della vita nuova di Dio. Il coperchio sale a piramide ottagonale con i lati formati a ramo di palma. Al vertice una raffigurazione del battesimo di Gesù del grande ceramista Biancini, dono dell’architetto Muzio. 

Il candelabro, che si sviluppa alla base e nella parte superiore nello stile della base della vasca, è riunito al centro da una serie di cinque grandi dadi, che ripetono il motivo triangolare della chiesa. Il candelabro con il grande cero sulla cima rappresenta Cristo luce e salvatore del mondo che realizza la nuova comunità dei credenti attraverso il Battesimo.
San Paolo direbbe che i credenti in lui fanno un unico corpo. I cinque dadi rappresentano questo corpo che cresce fino a raggiungere la statura di Cristo.
Ancora una volta Muzio ha tradotto un profondo concetto teologico attraverso le cose.